“Proprio a lui doveva succedere” “Che disgrazia!”, “Finché non tocca a te, sembra così lontana”, “Non so come fare, mi sento perso”
Sono solo alcune delle frasi che spesso si utilizzano per descrivere la condizione di una persona malata o per parlare alla persona malata; parole dette sospirando, con le lacrime agli occhi o con un sorriso o una battuta di spirito, modalità diverse di vivere una condizione non certo di benessere. Ma c’è un filo sottile che lega la vita e la morte come parte integrante della nostra esistenza e la differenza sta nel come si vivono entrambe. Quando a una persona anziana viene diagnosticata una grave malattia è sempre un duro colpo, ma la cosa più importante è aiutarla ad affrontarla nel miglior modo possibile. La terza età inizia dopo i 60 anni ed è in questa fase della vita che aumenta il rischio di contrarre qualche malattia. Tuttavia, superare i 60 anni non significa trasformarsi automaticamente in anziani malati; la probabilità di sviluppare qualche patologia dipenderà infatti dallo stile di vita che la persona ha condotto negli anni.
Quando a una persona anziana viene diagnosticata una grave malattia, la cosa più difficile sarà accettare che non potrà mantenere il precedente stile di vita. Questo può causare uno shock al paziente, e alla famiglia che lo sostiene. Bisogna trovare il giusto modo per aiutare gli anziani malati ad accettare questa transizione, affinché accettarla sia più facile.
Come affrontare la malattia di una persona cara
Come assistere un genitore malato? Quali sono i doveri a cui non si può venir meno se oltre alla malattia ci si deve occupare anche di come aiutare anziano depresso? Ci sono malati o familiari che combattono con il sorriso, altri invece non affrontano la situazione, oppure si chiudono in se stessi lasciando tutti fuori. La vita si interpreta in tanti modi, ed è questo che fa la differenza molto spesso anche di fronte a disgrazie di salute.
Cosa fare:
- Accettare la malattia è importante perché rende consapevoli e calati nella realtà. Non vuol dire che ogni malattia spinge a un triste epilogo, ed è bene accettarla per comprendere che anch’essa fa parte del percorso di vita di ognuno, in cui dare il massimo ed esprimere se stessi in condizioni differenti dal solito.
- Aver paura di soffrire e di far soffrire è un sentimento normale e giusto, imparare ad esprimere le emozioni, belle o brutte che siano, servirà ad essere più forti, a capirsi di più e a condividere con le persone care i momenti di difficoltà così da superarli insieme. Non siate super eroi, togliete la maschera!
- L’emotività gioca un ruolo importante e l’impotenza di fronte a una situazione difficile da affrontare spinge ad allontanarsi, a negare addirittura il problema vissuto dal malato, che invece ha bisogno di un appoggio morale per affrontare la situazione. L’aspetto positivo, l’unico degno di nota, è che in questo modo si continua a riconoscere la persona come tale e non la personificazione della malattia. Quello che si rischia infatti è di far perdere l’identità alla persona malata riconoscendola ormai solo in quello status; fuggire da esso è invece non riconoscere la malattia perché la parte dominante rimane la personalità. Una chiave troppo ottimistica? Forse! ma chiedete ai tanti figli che non accettano gravi patologie, la figura del genitore è talmente preponderante che non riescono a vederlo in altro modo.
- Colpevolizzarsi per non dedicare sufficiente tempo al proprio familiare malato è un modo sbagliato anche di vivere i momenti con lui, il pensiero che dovrebbe accompagnare ciascun caregiver è di fare il possibile con ciò che si ha a disposizione, da intendersi come tempo, forza fisica, psicologica e altri carichi di responsabilità
Doveri dei figli verso i genitori malati
Al di là dei gesti materiali, delle cure mediche e del supporto pratico, il supporto psicologico è il vero “dovere” morale di un figlio che assiste un genitore malato. Ma in verità non si tratta di un vero dovere o di un obbligo di assistenza, bensì dell’atteggiamento migliore per affrontare la malattia di un genitore, da entrambe le parti.
Alcuni gesti che, nella loro semplicità, possono fare davvero la differenza:
- Cercare insieme al genitore malato di continuare a mantenere una sorta di quotidianità, incontrare persone amiche o parenti o mantenere attività sia professionali che legate a passioni o tempo libero. Se si nutre la giornata, si nutre anche lo spirito e la malattia passa in secondo piano. C’è una stretta correlazione tra la chimica nel sorriso e momenti di sofferenza: chi pratica buonumore, pensiero positivo, permette al corpo di essere più reattivo nell’affrontare anche fisicamente patologie gravi, non isolarsi o cadere in depressione
- Parlare di quello che sta succedendo, dialogare il più possibile, non solo della nuova condizione di salute ma della propria vita. Cercare di percorrere passo passo terapie, visite e soluzioni possibili per dipanare uno spazio in cui si parla ancora di “possibilità”, per non sentirsi direttamente nella morsa della morte. Se poi si rende inevitabile quest’ultimo finale e si stanno vivendo gli ultimi istanti con la persona del cuore, anche in questo caso la medicina è parlare. Farsi aiutare da foto, libri, video, oggetti per ricostruire la storia della vita, i traguardi più importanti, i momenti belli e quelli brutti come occasioni per parlare di sé, riscoprirsi e capirsi da successi e sconfitte compiute nell’arco di una vita: nel lavoro, nella famiglia, negli interessi.
- Soffrire nel vedere il proprio caro star male, trasformarsi, perdere la memoria, i capelli, i movimenti è qualcosa di sconvolgente ed è per questo che da soli non si riesce, aggrapparsi agli affetti e farsi aiutare dalle tante realtà che conoscono scenari di malattia: associazioni, psicoterapeuti, dialogatori, community di ex malati o medici, può essere un modo per capire di più, sentirsi supportati e pronti ad assistere in qualsiasi circostanza.
Scrivere non è come vivere, sembra tutto semplice, scontato ma dalle parole nascono riflessioni, confronti, spunti di miglioramento, bagagli di emozioni che ci spingono a non mollare.
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